Le grandi storie dell'Ippica Italiana il Gubella come lo chiamavamo a Milano

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Le grandi storie dell'Ippica Italiana il Gubella come lo chiamavamo a Milano

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LE STORIE QUELLE BELLE: EDY GUBELLINI, UN UOMO SPECIALE

Lo diciamo sempre. Non può esserci futuro senza passato. Riscoprire la storia di una volta ci offre l'opportunità di innamorarsi di figure che sono state fondamentali nel costruire e ricomporre un puzzle. Quello di un quadro che ritrae l'amore per i cavalli. Oggi racconteremo la storia di un uomo che ha fatto della normalità il suo essere speciale. Anche lui una figura mitica del trotto italiano.
Edy Gubellini raccontato da suo figlio Pippo.
Quando pensi a tuo padre cosa ti viene in mente?
Siamo cresciuti insieme, non come padre e figlio, ma come amici. Eravamo migliori amici. Abbiamo costruito tutto insieme. Eravamo molto uniti. Sai quante volte mi ha coperto. Io sono più estroverso, lui più misurato. Una persona normale, mai sopra le righe e questo lo rendeva speciale. Sempre sorridente, gentile e carino con tutti. Infatti quando c'è stato il suo funerale c'era una vera e propria folla a salutarlo.
La famiglia Gubellini sta all'Ippica come i Maldini stanno al calcio. Tre generazioni a confronto.
L'esempio calza a pennello, io sono milanista, fede trasmessami da Beppe Viola, mentre papà interista. Comunque tutto è partito da nonno Pietro, un grande fantino, la prima monta della Scuderia storica della Dormello Olgiata, Vincitore dell'Arc de Triomphe con Nearco. Caduto in pista, costole rotte, e morto per il perforamento di un polmone. Scomparso troppo presto altrimenti avrebbe corso con Ribot. Mio padre aveva iniziato facendo la disciplina del nonno, il galoppo presso Mario Benetti, un ottimo allenatore di quei tempi. Inizialmente faceva il garzone di scuderia e poi allievo dai 13 ai 17 anni. Vinse anche una corsa ma il problema del peso lo fece deviare verso le redini lunghe. Andò da Sergio Brighenti, il guidatore di Tornese, e da lui imparò tutti i segreti del mestiere. Ma una volta smesso di correre amava soprattutto fare il regista nella sua Bareggio, il centro di allenamento, a dieci chilometri da Milano. Era il primo ad arrivare e l'ultimo ad andarsene. Io ho iniziato con il galoppo. Mi allenavo con il mio amico Frankie Dettori, due menti folli. Dopo diverse marachelle lui fu spedito da Gianfranco (il mostro, suo padre) in Inghilterra ed io Francia alla corte di Gougeon.
Praticamente tre predestinati.
Parliamo di papà guidatore. Come affrontava le corse?
Lui rispettava di più il cavallo. Arrivava sempre con il cavallo in mano. Era il suo bello. Non arrivava mai all'ultimo buco. Io l'opposto. Vinceva di poco. A differenza di Sergio Brighenti, che comunque era stato il suo mentore e grande amico, e Vivaldo Baldi, preferiva vincere di una testa che di 50 metri.
Il suo peggior difetto?
Era troppo buono
Nemici ne aveva?
Più che nemici, rivali. Storiche le battaglie con Vittorio Guzzinati e gli appassionati si divertivano con i loro battibecchi. Ma alla fine gli volevano bene tutti. Importante l'amicizia con il proprietario della Scuderia Lady M, Giancarlo Gorrini e Paolo Camuratti e Renato Mercuri.
Avete mai litigato?
Abbiamo corso insieme 3- 4 anni. Una volta sola, si. Eravamo a Milano. Avversari in pista. A 600 mt stavo andando sul battistrada e mio padre mi fece un urlo che lo sentirono dagli spalti. Rimani lì, mi disse. Persi per un soffio. Una volta sceso dal sulky ero talmente arrabbiato che non gli rivolsi la parola fino al giorno dopo. Ma tutto ritornò come prima. Era il mio primo tifoso. Una volta che la mia carriera decollò mi seguiva come un'ombra perché sapeva di avere per le mani un purosangue di razza, cioè io.
Chi ha vinto di più tra voi?
Io. E sghignazza.
Ma quale è stata la vittoria da driver a lui più cara?
Erano gli inizi anni '80, quando vinse quella che è sempre stata la corsa faro, il Lotteria di Agnano perché prevedeva batteria e finale e perché il cavallo era stato forgiato da lui e Sergio Peluso, Our Dream of Mite e di cui ne andava molto orgoglioso.
Ce la racconti una magata?
La vittoria di Micron Hanover nel Gran Premio delle Nazioni. Tutto per varchi interni, da brividi. Questo cavallo che aveva comprato in America, dopo averlo visto in corsa, era il suo pupillo.
Ma nel cuore anche Lighting Larry, Eskipazar e Gaian Quick.
Altre passioni oltre ai cavalli?
Giocare a carte con gli amici e tifare Inter. Mangiare poco e bene. Era un salutista.
Che papà era?
Fantastico, sempre presente.
Cosa ti manca di lui?
Tutto. E' stata una figura fondamentale per me. Sono passati nove anni dalla sua morte e mi manca sempre tanto.
Ma su quella panchina alla Maura lo voglio pensare ancora accanto a me.
https://t.me/galoppo_01 idee di gioco per Ippica calcio
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